ForsennataMente

Anoressia: una lotta per affermare il proprio ego?

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OrchestraVuota
view post Posted on 14/9/2010, 14:17




Cari tutti, vorrei sottoporvi un commento, di una certa "Marika", che ho trovato leggendo un blog. E' un commento sulla questione dell'anoressia, e, benché espresso con parole un po' forti e forse discutibili in alcuni punti, trovo che abbia un'idea di fondo molto giusta. Mi farebbe piacere che lo leggeste e che mi diceste cosa ne pensate. Lo copincollo qui, esattamente come l'ho trovato io:

"Tra l'altro: che palle co' sta' storia del "tu non sai nulla dell'anoressia, è una cosa troppo complessa...". Oltre ad essere una frase banale e tritamaroni, si dimentica la cosa più importante: le anoressiche godono a sentir parlare dell'anoressia, perchè consente loro di lamentarsi del fatto che la gente ne parla a vanvera ("loro non sanno che vuol dire") e di piangersi addosso ulteriormente.
Le anoressiche sono tali in quanto possiedono un egocentrismo smisurato, quanto meno nutrono il proprio corpo quanto più gonfiano il loro ego.
Spiacente per la durezza delle parole, non sono una a cui piace santificare i malati, perchè mi sembrerebbe di condannarli definitivamente a morte.
Chi soffre di disturbi alimentari accusa una percezione distorta di sé stesso: si vede grosso, ciccione, perchè tale è la coscienza del proprio ego, che infatti è talmente ingombrante da soffocare il corpo.
Le anoressiche nascondono le proprie ossa, ma l'effetto che vogliono ottenere è quello di imporre la propria ridondante emotività al mondo.
In questo senso, sebbene i siti pro-ana siano scioccanti per chi vi si addentra per le prime volte (è come imbattersi nella lapide di un bambino, tanto per dare un'idea), è anche vero che hanno una valenza terapeutica. Per alcune, ovviamente: dall'anoressia se ne asce perchè ad un certo punto ti caghi sotto.
Vedi la tua amica morire, e pensi che forse non sei pronta per andartene anche tu. O forse è solo il sibile della vita che ti dice "ma che cazzo stai facendo" e il giro si inverte.
Dall'anoressia si guarisce quando si fa dimagrire il nostro ego, quando si sblocca quel cazzo di maccanismo vitale che ci porta a farci amare gli altri, a preoccuparci per loro".
 
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edwardscissorhands
view post Posted on 15/9/2010, 07:52




Cara Orchestra,
avendo letto (e non ancora abbastanza) di anoressia e più in generale di disturbi alimentari, posso assicurarti che si tratta di un'analisi semplicistica e che le cause di questi comportamenti hanno origini molto diversificate da caso a caso ed esprimono disagi legati per lo più alla sfera familiare. Trattandosi di patologie, ovvero di comportamenti anomali persistenti e soprattutto non totalmente (e talvolta per nulla) consapevoli, è altrettanto stupido dire che basta farsi delle domande e ragionarci sopra per uscirne.
Consiglierei alla persona che ha scritto il commento che hai riportato di documentarsi di più, magari non solo sulla blogosfera(!), prima di esprimere giudizi definitivi che gli stessi psicoterapeuti e medici faticano a dare...
Scusa se sono stato altrettanto crudo nel rispondere. Ovviamente in nessun modo volevo essere polemico nei tuoi confronti. Sono comunque del parere che approfondire certi temi, su cui in giro c'è soprattutto disinformazione, fa solamente bene.
 
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OrchestraVuota
view post Posted on 15/9/2010, 14:08




Ciao Ed. Io invece sono rimasta colpita dalla frase "quando si sblocca il meccanismo vitale che ci porta a farci amare dagli altri, a preoccuparci per loro". Io, ad esempio, ho sempre pensato che fare volontariato, dedicarsi agli altri, possa essere un ottimo modo per uscire dall'avvitamento su sé stessi. Ad esempio, non trovo che le psicoterapie siano benefiche, in questi casi, perché non fanno che entrare nel meccanismo infernale innescato dalla malattia, alimentandolo, confermando il "successo" del modo di manifestare malessere e chiedere attenzione, quindi inconsciamente incoraggiando a continuare a manifestarlo così. Non so se sono stata sufficientemente chiara, comunque era in questo senso che approvo quanto scritto dalla commentatrice.
 
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Cuiviénen
view post Posted on 15/9/2010, 17:23




Quest'ultima interpretazione ha un suo senso e può darsi che potrebbe trovare riscontro in delle ipotesi concrete, ma ad esempio già nel caso delle esperienze che posso dire di aver vissuto di persona, in relazione a due persone da me conosciute in modo importante, sarebbe sbagliata. Dal problema alimentare in sè si possono certo ricavare molte indicazioni, sulle quali preferisco esprimermi con i piedi di piombo avendo pochissima conoscenza della materia, ma l'esperienza, la predisposizione, le caratteristiche e le motivazioni individuali penso siano una discriminante che apre molteplici ventagli di possibilità difficilmente riconducibili verso un unica posizione interpretativa :)
 
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OrchestraVuota
view post Posted on 15/9/2010, 18:02




In effetti se penso a casi di anoressia o bulimia in conseguenze di violenze sessuali, ad esempio, certamente il discorso si fa più complesso e occorre un lavoro su sé stessi che non può essere aggirato come si aggira un ostacolo.

Però, in linea di massima, continuo a pensarla un po' alla maniera orientale: e se la cura più radicale fosse invece il dimenticarsi di sé? Il perdersi senza disperdersi? Ovvero l'esatto opposto di quello che facciamo noi, che cerchiamo sempre di "distinguerci", ovvero di de-finirci in contrapposizione agli altri, di segnare bene i confini tra il mio e l'altrui (parlo di cose e di sentimenti), l'ossessione per la privacy, l'individualismo sfrenato, il fatto che ci dimentichiamo che i nostri sentimenti sono in connessione con quelli degli altri e del mondo, e che è anche bello stemperarsi negli altri, come acquerelli, invece di insistere a caricare il colore della tempera... e del temperamento... cosa ne dite? :)
 
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Cuiviénen
view post Posted on 15/9/2010, 18:24




CITAZIONE (OrchestraVuota @ 15/9/2010, 19:02)
In effetti se penso a casi di anoressia o bulimia in conseguenze di violenze sessuali, ad esempio, certamente il discorso si fa più complesso e occorre un lavoro su sé stessi che non può essere aggirato come si aggira un ostacolo.

Però, in linea di massima, continuo a pensarla un po' alla maniera orientale: e se la cura più radicale fosse invece il dimenticarsi di sé? Il perdersi senza disperdersi? Ovvero l'esatto opposto di quello che facciamo noi, che cerchiamo sempre di "distinguerci", ovvero di de-finirci in contrapposizione agli altri, di segnare bene i confini tra il mio e l'altrui (parlo di cose e di sentimenti), l'ossessione per la privacy, l'individualismo sfrenato, il fatto che ci dimentichiamo che i nostri sentimenti sono in connessione con quelli degli altri e del mondo, e che è anche bello stemperarsi negli altri, come acquerelli, invece di insistere a caricare il colore della tempera... e del temperamento... cosa ne dite? :)

Mi rivedo abbastanza nell'atteggiamento che definisci, non posso che definirmi d'accordo, ma io ho anche la fortuna di avere questa attitudine, il mondo e la vita sono di una varietà che a volte mi attrae a volte mi ferisce, ed è un bene, la possibilità che poni non è necessariamente la soluzione corretta sebbene la faccia mia, e non è facilmente nella disponibilità di tutti :)
 
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OrchestraVuota
view post Posted on 15/9/2010, 19:51




Hai ragione, non è facile, ma io ho una predilezione per le cose impegnative e difficili nella vita! :) Per le cose belle e rare, come - faccio un esempio a caso :) - un'amicizia sbocciata in un mare etereo di informazioni e intenzioni informatiche varie, riuscire a percepire la qualità umana di valore in un oceano che si presta a mistificazioni, non trovi? ;)
 
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Cuiviénen
view post Posted on 15/9/2010, 20:08




CITAZIONE (OrchestraVuota @ 15/9/2010, 20:51)
Hai ragione, non è facile, ma io ho una predilezione per le cose impegnative e difficili nella vita! :) Per le cose belle e rare, come - faccio un esempio a caso :) - un'amicizia sbocciata in un mare etereo di informazioni e intenzioni informatiche varie, riuscire a percepire la qualità umana di valore in un oceano che si presta a mistificazioni, non trovi? ;)

già :)
 
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edwardscissorhands
view post Posted on 16/9/2010, 08:55




CITAZIONE (OrchestraVuota @ 15/9/2010, 15:08)
Ciao Ed. Io invece sono rimasta colpita dalla frase "quando si sblocca il meccanismo vitale che ci porta a farci amare dagli altri, a preoccuparci per loro". Io, ad esempio, ho sempre pensato che fare volontariato, dedicarsi agli altri, possa essere un ottimo modo per uscire dall'avvitamento su sé stessi. Ad esempio, non trovo che le psicoterapie siano benefiche, in questi casi, perché non fanno che entrare nel meccanismo infernale innescato dalla malattia, alimentandolo, confermando il "successo" del modo di manifestare malessere e chiedere attenzione, quindi inconsciamente incoraggiando a continuare a manifestarlo così. Non so se sono stata sufficientemente chiara, comunque era in questo senso che approvo quanto scritto dalla commentatrice.

Io avevo capito bene il tuo punto di vista, infatti la mia non era una critica al tuo pensiero ma solamente una constatazione dei fatti così come ho avuto modo di conoscerli sia per via diretta (persone con questi problemi che ho conosciuto e conosco) che indiretta (conversazioni con esperti della materia, libri e quant'altro mi è capitato di leggere) che mi portava a definire quanto meno superficiale e disinformata un'opinione così tranchant.
Quanto all'aiuto esterno, purtroppo a volte è proprio necessario perché si arriva al punto di non essere fisicamente e psichicamente in grado di farcela da soli; sta sicuramente a noi (e/o a chi ci sta vicino) cercare il supporto più idoneo evitando, come tu dici benissimo, di cadere in pericolosi avvitamenti. In questa lettura, ti posso certamente confermare che lo sforzo della persona e la sua "volontà di guarire" è altresì fondamentale e quindi, secondo questa interpretazione, è più che condivisibile quello che viene fuori dalle tue parole, ossia l'importanza del "reagire" e del "darsi da fare".
Se hai tempo e voglia, ti consiglierei un libro che ho trovato interessantissimo e tratta proprio di psicoterapia applicata a questo tipo di disturbi, mostrando concretamente come sia possibile aggirare anche i problemi che tu ben evidenzi circa i meccanismi di retroazione negativa che spesso le cure (e soprattutto aggiungerei le attenzioni e le tentate soluzioni dei familiari) possono far scattare in questi casi. Il testo si chiama "Le prigioni del cibo" e l'autore è Giorgio Nardone, che dirige un centro di psicoterapia piuttosto noto ad Arezzo.
Ciao!!! :)
 
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OrchestraVuota
view post Posted on 16/9/2010, 14:50




Proverò volentieri a cercarlo, dunque! Grazie del consiglio! :)

E magari ne parleremo qui sul forum! :)
 
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9 replies since 14/9/2010, 14:17   2108 views
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