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Dreams

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edwardscissorhands
view post Posted on 16/8/2010, 16:14 by: edwardscissorhands




Dreams

“Odette, la vuoi finire con quel cazzo di ticchettio? Sto cercando di dormire”.
L’urlo di quel balordo di mio padre proveniente dalla stanza di fianco mi penetra nelle orecchie sgretolando di colpo i miei pensieri come il gracchiare di uno stormo di corvi sbucato all’improvviso da chissà dove a distruggere la visione di uno splendido tramonto.
Prendo a rileggere sullo schermo del notebook la lettera per mio fratello. È l’unico a cui mi sento di lasciare almeno due righe di spiegazione. Certamente nulla avrei da dire a quella bestia che ora già sento russare di nuovo in camera mia. Quell’essere infame che da quando la mamma è morta di overdose non ha fatto passare nemmeno un mese prima di infilarsi nel mio letto. Già, era un pezzo che li avevo notati quegli sguardi quando uscivo dal bagno in accappatoio, quelle strusciatine fintamente casuali ad ogni occasione che si presentava. Finché c’era lei, però, non aveva avuto le palle per farsi avanti, fortunatamente. Di mamma aveva paura, sapeva che l’avrebbe per certo denunciato; pur nelle condizioni pietose in cui ormai si trovava, avrebbe avuto di sicuro la forza di farlo. Su di lei i suoi schiaffoni non facevano effetto. Anzi, la rendevano ancor più incazzata. Certamente aveva molto più coraggio di me, questo è evidente. Una volta era stata pure sul punto di sbatterlo fuori di casa, ma aveva avuto pietà di lui. Sissignore, pietà.
Era una brava donna, mia madre. Sì, lo era davvero.
Dopo di lei tutto era andato a puttane. Jeffrey, a soli 11 anni, sbattuto per strada a portare le dosi a quei cazzo di pusher negri con le loro improbabili e coloratissime magliette XXXL che gli pendono fino alla punta del pisello. E tutto questo per salvare il suo merdoso culo nero (sporco) dagli sbirri che ormai conoscono la sua faccia da negro meglio di quella dei loro figli, oltre che per rimanere da solo con me qualche minuto in più (ecco, se non altro il coraggio di farlo davanti a mio fratello gli manca, ma ve l’ho detto che non c’ha proprio le palle). No, tutto questo lei, mia madre, non l’avrebbe mai permesso.
Ora però tutta questa merda se ne sta per andare. Finalmente! Oggi si tira lo sciacquone sui miei diciotto anni e mezzo di inferno. Definitivamente.
Me ne vado sulla costa ovest col mio Orel. La notizia del trasferimento gli è arrivata settimana scorsa, stavolta è ufficiale: hanno accettato la sua domanda. Già questa è una rarità per uno di colore in un ambiente come il suo. In più lo passano anche di grado, dice. Papà non sa nulla di lui, ovviamente. Due mesi di incontri segreti, dopo che su internet qualche angelo l’ha messo sulla mia strada. Due mesi a lottare per far coincidere i suoi turni con le mie rare possibilità di “libera uscita”, peggio di una carcerata mi tratta quel verme. Due mesi a cancellare sms in tutta fretta per paura di venire scoperta. E per fortuna che Orel abita a soli 10 isolati da qui e non appena si presenta l’occasione propizia lancia a tutto gas la sua utililitaria per venire a prendermi e magari passare anche solo un’ora con me. Me l’ha detto, io ti porto via da questo schifo di città bambina mia.
Mentre scrivo le ultime parole per spiegare a mio fratello che gli voglio un mondo di bene e che non vedo l’ora di tornare a prendere anche lui per strapparlo a questa vita di merda, il cuore riprende a battermi all’impazzata. Ancora poco e arriverà quel messaggino, come d’accordo. Io uscirò di casa e lui sarà lì sotto ad aspettarmi, al solito angolo con la 32a. Per un attimo tremo al pensiero che il mostro si svegli proprio ora e tutto finisca prima ancora di cominciare. All’improvviso, come uno spiffero che entra dagli infissi logori di una finestra, mi sfiora chissà perché l’idea di non potercela fare. Che qualcosa possa andare storto. O che io non riesca a trovare la forza di andarmene nemmeno stavolta. Perché lo so che questa è l’ultima possibilità che mi rimane. Lui da domani prende servizio nella nuova sede e di certo non tornerà qui prima di un mese o due. E quante cose possono cambiare in tutto quel tempo, lo so bene purtroppo. Per fortuna mi viene subito in soccorso l’immagine di lui che mi stringe e mi sussurra con la sua voce calda che tutto andrà bene. Come quando nella sua divisa nera a strisce da pompiere (lui non sopporta che lo chiami così, si dice vigile del fuoco, mi dice ogni volta con quell’espressione in viso di finto risentimento) lo vidi per la prima volta e mi strinse dentro quelle immense braccia muscolose che mi sembrava di perdermici dentro e di colpo smisi di tremare, cosa che stavo facendo da parecchi minuti per l’emozione di quel primo incontro.
Di colpo il cellulare vibra e mi fa sussultare sulla sedia come se mi avessero punto con uno spillone nel fondo schiena. La mia mano afferra il telefonino e clicca sulla bustina chiusa.

AMORE, C’È UN PROBLEMA. CI SENTIAMO?

Come sempre mi chiudo in bagno cercando di non fare il minimo rumore. Chiamo e non aspetto nemmeno che mi dica pronto.
“Che succede?”, sussurro piano.
“Scusa, cucciola, meno male che hai chiamato subito, posso stare pochissimo. C’è stato un imprevisto.”
“Che succede?”, ripeto, mentre il mio cervello si rifiuta di pensare e aspetto solo che lui mi rassicuri dicendomi che va tutto bene.
“Non posso venire a prenderti adesso, pare che sia successo un casino alle torri gemelle. Ci stanno mandando tutti là. Ma non hai la tele accesa? Sono morte un sacco di persone.”
“A quest’ora di mattina secondo te accendo la tele? E poi lo stronzo dorme, per fortuna. Ma quando arrivi?”
“Ma che ne so, ora devo scappare, scusa, stiamo salendo sulla camionetta. Ti voglio bene. Bacio.”
“Ba...”, ha già messo giù, cazzo.
Bacio. Il ricordo di quell’ultima parola sussurrata piano per non arrossire troppo davanti ai colleghi è tutto quello che mi resta di lui.


New York, 11 settembre 2001.


Edited by edwardscissorhands - 17/8/2010, 14:53
 
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